Sestiere Castello: leggende e storie di questa zona di Venezia

Le leggende del sestiere Castello di Venezia tra fantasmi, storie di pazzia e d’amore. Scoprire un luogo anche attraverso i suoi racconti.

Venezia è così ricca di storie che probabilmente non esiste una persona in grado di raccontarle tutte.
Dopo aver diviso la città in sestieri e avervi parlato del sestiere Castello attraverso i suoi luoghi più importanti, è arrivato il momento di andare oltre e di leggere i racconti nascosti tra le sue calli.

Leggende del sestiere Castello di Venezia
In questo post ho raccolto sei leggende legate alla “coda di Venezia”, sei storie per scoprire qualcosa in più sul quartiere più orientale del capoluogo lagunare.
Il fantasma dei Giardini della Biennale
Giuseppe Zolli, nato a Venezia nel 1838, era uno dei tanti studenti dell’Università di Padova quando nel 1859 partì per il Piemonte per prendere parte alla Guerra d’Indipendenza.
ll giovane era così fedele a Garibaldi, che più volte, in battaglia e non, giurò di difenderlo e guardargli le spalle in eterno, da vivo o da morto.
L’eroe italiano spirò nel 1882 e, tre anni dopo, all’ingresso dei Giardini della Biennale venne posto un monumento a lui dedicato. Zolli, invece, morì nel 1921 e fu sepolto nel cimitero dell’isola di San Michele, che fa parte proprio del sestiere Castello.

Pochi giorni dopo la sua morte, un fantasma con la camicia rossa garibaldina cominciò a infastidire chiunque si avvicinasse troppo al monumento o non gli portasse rispetto. Uno dei veneziani che vide lo spirito era convinto si trattasse proprio di quello di Zolli
Si decise così di aggiungere una statua, quella di un giovane Giuseppe in divisa, al monumento, per esattezza alle spalle di Garibaldi. Da quel giorno il fantasma non infastidì più nessuno.

Il cuore di Sotoportego dei Preti
C’era una volta a Venezia un giovane pescatore che si chiamava Orio. Abitava in una casa non distante dalla chiesa di San Giovanni in Bragora, sopra quello che è conosciuto come il Sotoportego dei Preti.

Una sera, mentre pescava, sentì la voce di una ragazza che chiedeva aiuto perché rimasta intrappolata nella sua rete. Quando si avvicinò scoprì che la giovane era una sirena: Melusina.
Lui la liberò e l’intesa era tale che i due parlarono fino al mattino, promettendosi poi di rivedersi ogni notte nello stesso punto. Con il passare del tempo si innamorarono e Orio chiese a Melusina di sposarlo. Lei accettò, ma alla condizione che, prima delle nozze, non si vedessero mai di sabato.
Inizialmente il giovane rispettò la richiesta, ma il desiderio di vederla era irrefrenabile e un sabato andò nel punto in cui si erano incontrati la prima volta. Lì trovò un serpente.

L’animale iniziò a parlare e confessò al pescatore di essere Melusina, trasformata in serpe da un maleficio che la colpiva ogni sabato. Solo il matrimonio l’avrebbe salvata dalla maledizione.
Dopo le nozze, la maledizione si ruppe e i due ebbero tre figli, ma la donna si ammalò e morì molto giovane.
Orio rimase solo, con tre bambini da accudire e una dimora da gestire, ma con sua grande sorpresa, ogni volta che tornava dal lavoro trovava tutto sorprendentemente pulito e ordinato. Un giorno, per risolvere il mistero, tornò a casa in anticipo e, una volta entrato, trovò in cucina un grosso serpente. Spaventato, lo uccise.

Da quel giorno il pescatore non trovò più la casa in ordine e l’uomo capì che l’animale non era altro che lo spirito della sua amata Melusina, che cercava di aiutarlo.
In memoria del loro amore, in Sotoportego dei Preti, è stata posta una pietra rossa a forma di cuore che si dice porti fortuna agli innamorati se toccata.

Il levantino e lo scalpellino della Scuola Grande di San Marco
Quando Cesco Pizzigani scolpì gli splendidi giochi di prospettiva della facciata della Scuola Grande di San Marco era uno dei più famosi scalpellini veneziani.
Nel 1501, però, la moglie si ammalò gravemente e lui spese tutti i suoi risparmi per provare a guarirla. Sfortunatamente la donna morì, lui si ritrovò senza un soldo e senza una casa e fu costretto a chiedere l’elemosina proprio di fronte all’edificio che aveva decorato con tanta abilità.

Negli stessi anni c’era a Venezia un giovane tormentato dall’essere per metà veneziano e per metà turco, un levantino. Nessuna delle due comunità lo accettava e così l’uomo si sfogava con violenza sulla madre, per lui colpevole della sua condizione.

Una notte, però, la situazione precipitò e, in uno scatto d’ira, pugnalò la donna e le strappò il cuore. Sconvolto da ciò che aveva appena fatto, cominciò a vagare per le calli di Venezia con l’organo in mano arrivando fino al ponte di fronte alla Scuola Grande di San Marco.
Mentre saliva i gradini inciampò e il cuore gli sfuggì, cadendo a terra. Fu in quel momento che il levantino sentì la voce della madre: «Figlio mio, ti sei fatto male?», diceva. Il giovane impazzì e si suicidò gettandosi nelle acque della laguna.
Pizzigani, che in quel momento era rannicchiato all’entrata della Scuola, assistette a tutta la tragica scena e, con un chiodo, decise di aggiungere un ultimo dettaglio all’edificio: incise, a lato della porta, la sagoma di un turco con un cuore in mano.
Oggi è abbastanza visibile, basta accovacciarsi all’entrata (si trova a circa cinquanta centimetri da terra) e guardare verso destra dando le spalle alla piazza.

La leggenda di Sant’Elena
Secoli fa una nave proveniente da Costantinopoli giunse in laguna con a bordo le spoglie di Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino. Purtroppo, durante la navigazione, a causa della bassa marea e delle secche, si arenò non distante dall’attuale area di San Pietro di Castello.

Nonostante l’esperienza e le capacità dei marinai, l’equipaggio non riuscì a muovere l’imbarcazione e quindi decise di alleggerire la nave scaricando le merci e tutto ciò che conteneva sull’isola disabitata in modo da semplificare le manovre. Tra le casse e i sacchi posti momentaneamente sulla riva era presente anche l’urna con le reliquie della santa.
I marinai riuscirono a muovere la barca e a portarla dove l’acqua era più alta per riprendere la navigazione e successivamente ogni pezzo fu riportato a bordo. Tutto sembrava andare per il meglio, quando però risalì anche l’urna, la nave si arenò di nuovo, inspiegabilmente.
Quando l’oggetto sacro fu riportato sulla riva, la nave iniziò a navigare. Era un segno: la santa voleva rimanere lì. Da quel giorno l’isola prese il nome di isola di Sant’Elena e le spoglie sono ancora oggi conservate all’interno della chiesa omonima.

Il mascherone contro il diavolo
Si racconta che in passato alcuni demoni e spiriti poco amichevoli fossero soliti salire sul campanile della chiesa di Santa Maria Formosa per suonare le campane a ogni ora del giorno e della notte.
Poiché la popolazione utilizzava il suono delle campane per orientarsi durante la giornata, questi scherzi provocavano non poco scompiglio all’interno del sestiere Castello.
Per questo motivo, il parroco decise di posizionare all’entrata del campanile un mascherone: un volto grottesco che aveva lo scopo di spaventare i demoni. Pare sia riuscito nell’intento.

Il buco del demonio su Palazzo Soranzo dell’Angelo
Si racconta che all’interno di Palazzo Soranzo dell’Angelo, non distante da Piazza San Marco, vivesse un avvocato della Curia del Doge. Nonostante si presentasse come un uomo di fede, col passare del tempo si era arricchito sfruttando senza scrupoli la povera gente.
Quando una sera padre Matteo da Bascio andò a cena da lui, notò che al suo fianco c’era sempre una piccola scimmia ammaestrata. In quell’animale il prete riconobbe immediatamente il demonio.

Senza esitare, gli chiese perché si trovasse lì e il diavolo rispose che stava aspettando il momento adatto per portare l’anima dell’avvocato con sé all’inferno, ma che non ci era ancora riuscito perché l’uomo pregava Maria ogni sera prima di dormire.
Il frate obbligò il demonio ad abbandonare la casa e l’uomo e lui, ormai stanco di aspettare accettò, ma nel farlo creò un buco sul muro. L’avvocato, scosso dall’accaduto e scampato un pericolo che non sapeva nemmeno di correre, decise di convertirsi completamente e fece posizionare un edicola con un angelo sulla parete esterna della sua casa.
Nonostante la decorazione in pietra, il buco sul muro non è mai scomparso e ancora oggi lo si può vedere sopra la testa dell’angelo.

La donna che vide la morte
La chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, una delle più belle di Venezia, è nota anche come “Pantheon dei Dogi”, perché al suo interno ci sono tantissimi monumenti funebri dedicati ai personaggi più importanti della Serenissima.
A uno dei monumenti, quello del pittore Melchiorre Lanza, che si trova nella cappella di Maria Maddalena, è legata una delle leggende del sestiere Castello.
Una delle sculture dovrebbe rappresentare la Malinconia, ma secondo le voci, rappresenta invece una vanitossissima veneziana che era solita specchiarsi ogni giorno. Un giorno, quando prese in mano lo specchio, invece di vedere il proprio riflesso vide quello di un’anziana sul punto di morte e per la paura morì immediatamente.
All’interno della chiesa non è possibile fare fotografie.

La visione del Doge Jacopo Tiepolo
Alla Basilica dei Santi Giovanni e Paolo è dedicata un’altra leggenda del sestiere. Anche se molte tombe e monumenti si trovano all’interno, come vi dicevo, alcuni si trovano all’esterno, come quello del Doge Jacopo Tiepolo, che nel 1234 donò ai frati il terreno per costruire l’edificio.

Un giorno il Doge ebbe una visione. Vide l’oratorio di San Daniele e tutta l’area circostante ricoperta di fiori e piena di colombe bianchissime che avevano sulle loro teste delle croci d’oro. In questo ambiente paradisiaco, alcuni angeli profumavano l’aria con turiboli (i vasi dove viene bruciato l’incenso) d’oro. A un certo punto sentì una voce che gli disse “questo è il luogo che ho scelto per i miei predicatori”. Risvegliatosi, donò il terreno e fece erigere la Basilica.
Per questo, sul suo sarcofago, posto sulla facciata principale, sono raffigurate colombe con le croci sulla teste e angeli con gli incensieri.

La pietra della peste
A Venezia (e non solo) la peste del 1630 è stata una delle più grandi disgrazie di sempre. Non venne risparmiato nessun sestiere, ma una zona parve miracolata: quella di Corte Nova, nel sestiere Castello.
Secondo la leggenda, in Corte Nova viveva una donna di nome Giovanna che un giorno vide la Madonna. La vergine le anticipò la sciagura e le disse che, per evitarla, gli abitanti di quell’area avrebbero dovuto decorare il sottoportico con un quadro raffigurante San Rocco, San Sebastiano, Santa Giustina e lei stessa. Così fecero e, in più, ne appesero un’altro che rappresentava solamente la Vergine.
La peste, quindi, vista come una macabra figura che si aggirava per le calli della città per contagiare ogni essere umano, per raggiungere anche Corte Nova, avrebbe dovuto per forza passare sotto il portico. Quando arrivò lì, però, cadde a terra sconfitta dalle figure dei santi e di Maria e l’intera zona si salvò.
In quel punto gli abitanti posero una pietra rossa in memoria della vittoria e si dice che chiunque la calpesti sarà colpito da disgrazie e fortune.

Il corpo di San Giovanni Elemosinaro
Visitando Venezia, nella zona di Rialto, troverete la chiesa di San Giovanni Elemosinaro, dedicata al patriarca greco-ortodosso Giovanni V che resse Alessandria dal 609 al 619.
Dopo la sua morte, il corpo rimase a Cipro, dove era nato, per molti anni, ma il generale veneziano Lorenzo Bragadin decise di portarlo a Venezia nel 1249.

Una volta giunto in città, fu posto provvisoriamente nella chiesa di San Giovanni in Bragora, nel sestiere Castello, mentre si preparava lo spazio all’interno della chiesa a lui dedicata. Quando venne il momento di spostarlo, però, alcuni eventi considerati miracolosi impedirono il suo trasferimento. Ancora oggi le reliquie si trovano nella chiesa della Bragora, in una cappella costruita nel Quattrocento.

La tragica storia d’amore di Federico Ferdinando d’Asburgo
I Cavalieri di San Giovanni, che dal 1522 risiedono sull’isola di Malta, nel 1312 costruirono a Venezia un ricovero per pellegrini e fedeli diretti in Terra Santa. Si trova proprio nel sestiere Castello, a due passi dalla Scuola Dalmata.
Dopo secoli, a causa delle soppressioni napoleoniche, l’Ordine dei Cavalieri di Malta fu costretto a cessare le sue attività in città e l’edificio venne utilizzato come magazzino o come alloggio popolare. Bisogna aspettare il 1842 perché le cose cambino per opere dell’arciduca d’Austria Federico Ferdinando D’Asburgo, nipote dell’Imperatore Ferdinando I.
L’uomo apparteneva all’Ordine e quando a 21 anni giunse a Venezia e trovò il Priorato in condizioni pietose, chiese a suo zio di ridare ai Cavalieri l’edificio e lui accolse la richiesta.
Il giovane rimase lì per qualche anno e, secondo i racconti, si innamorò di una certa Maria Adelaide che lavorava al Priorato e aveva 13 anni più di lui. I due ebbero una bambina, chiamata Giuseppina, che però, per evitare scandali, fu affidata a un convento veneziano. I due vennero separati e Federico si tolse la vita tenendo tra le mani una poesia dedicata alla sua Maria Adelaide, anche se le cronache riportano fosse morto di ittero. Della bambina si perse ogni traccia.

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Avendo sempre visitato Venezia in giornata non saprei indicarvi con esattezza un alloggio. Vi lascio però questa mappa* con tutte le offerte e le soluzioni aggiornate, sperando che riusciate a trovare quello che fa per voi.
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Media
Le immagini sono state scattate con un iPhone 6s* e una Canon 1100D*. Per vedere le altre potete sfogliare il mio album su Flickr.
Enrica - Attimi e Pillole di Viaggio
Ciao Marti! Sono tornata a bazzicare tra il mio e i blog che amo di più.. tra cui il tuo!
Che bell’articolo che hai scritto, davvero interessante! Sono stata da poco a Venezia… ad averlo saputo avrei guardato con più attenzione alla ricerca di questi luoghi. La prossima volta sicuramente!
Martina Sgorlon
Enrica – Attimi e Pillole di ViaggioCiao Enrica! Grazie di essere passata e buon ritorno sul tuo blog ❤ Se ritorni a Venezia fammi sapere, sarebbe bello incontrarsi 🙂
A presto, un abbraccio ❤