In America Centrale inseguendo le ombre dei colibrì

Un viaggio in America Centrale, dal Messico a Panama, a bordo di uno scooter. La storia di Paolo e Lindsay nel libro Inseguendo le ombre dei colibrì.

Non sono mai stata in America Centrale. Non ho mai visto i colori del Messico, del Guatemala, di El Salvador e non ho mai parlato con le persone che li vivono ogni giorno. Dopo aver letto Inseguendo le ombre dei colibrì di Paolo Zambon, però, è un po’ come se l’avessi fatto. Anche se in stile Exploreading.
Leggi anche:#Exploreading: 10 libri che vi faranno viaggiare
La storia di questo viaggio inizia in Malesia, sotto una pioggia torrenziale del giugno 2013. È lì che a Paolo viene l’idea di partire dal Canada, Paese nel quale vive con Lindsay, per il Centro America, che, come scrive lui è un “ponte traballante tra la ricca e linda America del Nord e la calda e vitale America del Sud”.
Dopo poco più di un anno (il 16 settembre 2014) e dopo mappe stese sul tavolo, libri e articoli letti, note scritte, pagine web stampate e numeri di telefono appuntati, tutto si concretizza.
Osservai un colibrì con una graziosa striatura arancione che più volte nelle ultime ore aveva deciso di farmi visita. […] La sua presenza mi fece, per un attimo, dimenticare il viaggio ormai alle porte. Feci una rapida ricerca e una cosa catturò la mia attenzione […] le loro rotte migratorie. Con la fine dell’estate lasciano quest’angolo del Nord America per lidi più caldi. Scendono a sud, in Centro America. Per rientrare a grandi linee nel mese di maggio. Pensai divertito che anche loro, questi volatili mignon dal peso di pochi grammi, avrebbero percorso, chissà come, il nostro stesso tragitto nel medesimo arco di tempo.
Li elessi immediatamente mascotte ufficiale del viaggio che stava per cominciare.
La coppia viene accompagnata con un furgoncino alla frontiera statunitense di Nogales, poi, da lì, Paolo e Lindsay percorreranno 23.000 chilometri in sella al loro scooter dal Messico a Panama. Otto mesi di viaggio, otto Paesi attraversati.
Dormiranno in tenda, in alberghi, in pensioni, spesso troveranno un alloggio grazie al passaparola, come in una staffetta che coinvolge amici vecchi e nuovi, amici di amici e altri motociclisti incontrati lungo il cammino.
Avevamo appuntamento con Mirko, un signore francese con più di trent’anni di esperienza in Guatemala che si era interessato al nostro viaggio in scooter attraverso amici motociclisti che vivevano a Città di Guatemala e che ci avevano messo in contatto con lui.

In questo racconto di viaggio ci sono tantissimo Messico (dopotutto ci hanno trascorso ben tre mesi), un po’ di Guatemala e pochissimo El Salvador. Nonostante vengano citati anche altri Paesi (Honduras, Nicaragua, Costa Rica, Panama e Belize) nel libro non c’è spazio per loro. E lo scrive anche Paolo: ci vorrebbero molte più pagine delle 300 che si stanno tenendo tra le mani.
Nelle settimane seguenti il nostro viaggio ci avrei portato in Nicaragua, Costa Rica, Panama e sulla via del ritorno di nuovo l’Honduras e il Guatemala e il Belize prima degli ultimi giorni messicani. Emozioni e ricordi che meriterebbero altrettante pagine per essere raccontate.
Pagina dopo pagina, l’autore accompagna costantemente il lettore, lo guida di tappa in tappa come i suoi appunti, presi prima di partire, hanno fatto con lui e li mescola ai pensieri annotati durante il viaggio. Un mix di passato e presente che permette di immergersi completamente, anche se in maniera non troppo approfondita, in realtà lontane da noi.
A distanza di mesi mentre scrivo queste righe noto una discrepanza enorme tra le sensazioni di quei giorni e le fotografie che sto consultando. L’effetto che ebbe la prima cittadina con eredità architettonica coloniale fu esagerato dalla mia sete di luoghi nuovi e dalla nostalgia europea.

Tra una sosta e l’altra si scopre qualcosa in più sulle rovine precolombiane, come quelle di Tula e di Teotihuacan, sulla narcopolitica messicana, sulle gang del Centro America.
Si scopre una realtà nuda e cruda. Da una parte la totale assenza di fiducia nelle istituzioni, dall’altra l’emigrazione verso gli Stati Uniti a bordo di treni che diventano in qualche modo simboli di intere generazioni alla ricerca di una vita migliore che spesso non arriva.
Esausti rientrammo in casa di Jorge e, immersi nello splendore della stana degli ospiti circondata da vetrate che facevano intravedere il caleidoscopio di luci di Querétaro, mi trovai a ripensare al signore chinato sulla tomba della moglie, ai parenti dello scomparso stampato sul cartellone pubblicitario e ai migranti appesi ai vagoni. Con le papille gustative ancora intente a elaborare la valanga di zuccheri non potei fare a meno di percepire un sapore amaro prima di chiudere gli occhi.
E poi ci sono le persone. C’è un bambino che da grande vuole diventare un sicario, ci sono storie di emigrazione come quelle di Jorge e Fabiano che sono a un passo dallo sfiorare il sogno americano, c’è Ramiro che scrive lettere d’amore per chi non sa scrivere e Oscar che mette Paolo in contatto con i pentiti delle gang salvadoregne. Sono loro a fare la differenza.
Alla cena si presentarono in molti. La maggior parte di loro li incontravamo per la prima volta. Era una cena d’addio, il giorno dopo avremmo lasciato San Salvador. […] Era il manifesto del Salvador migliore: ospitale, caloroso, affettuoso. Quell’abisso fatto di violenza e criminalità che mi aveva riempito la mente con storie e statistiche da paese in guerra durante quella serata fu eliminato dalla presenza di queste persone che tiravano avanti anche se con i piedi nel pantano.

Paolo ha un modo di scrivere tutto italiano: tanti aggettivi, immagini poetiche e pagine ricche di metafore. In più le sue frasi seguono il ritmo del viaggio e, in qualche modo, permettono di capire il suo stato d’animo in un determinato momento.
Sono lunghe quando i luoghi lo meravigliano e si ferma ad ammirarli, ma brevi e incalzanti quando è in sella al suo scooter e il paesaggio scorre veloce sugli specchietti retrovisori oppure quando i pensieri scivolano dalla penna a fine giornata.
La notte si consumò con la lentezza di una candela. La fiamma era il calore dell’allegra brigata. La cera fusa furono i pensieri che mi portai nel mio sonno angustiato.
È questo mix di appunti, di emozioni, di storia, di natura e di attualità che rende Inseguendo le ombre dei colibrì un libro da leggere prima di partire per il Centro America o nel quale immergersi per raggiungere quell’angolo di mondo con la mente.
Un viaggio tra piante di caffè e di mais, tra strade sterrate, antiche civiltà perdute e persone che vivono giorno dopo giorno e costruiscono sogni fragilissimi.
Ci vollero 280 chilometri e una serata ad alto contenuto alcolico con un gruppo di motociclisti a Tepatitlán, per raggiungere Guadalajara. Una serata che ci regalò l’appellativo “Amigos de Tepa” e un campanello scacciademoni appeso al portapacchi anteriore. Ci avrebbe protetto fino in capo al mondo.
Acquista Inseguendo le ombre dei colibrì* su Amazon

Avete mai letto Inseguendo le ombre dei colibrì? Vi piacerebbe leggerlo? Lasciate un commento 🙂

Informazioni
Ringrazio Paolo Zambon per avermi regalato il suo libro edito da Alpine Studio Editore e pubblicato nella collana Orizzonti.
Le foto sono state scattate con una Canon 1100D*.