Sestiere Dorsoduro di Venezia: leggende, storie e racconti

Le leggende di Dorsoduro: storie e racconti di questo sestiere di Venezia tra mostri e misteri. Un viaggio da punta della Dogana tra calli e palazzi.

Dorsoduro è, in qualche modo, il sestiere artistico di Venezia, complici l’Accademia e la Collezione Peggy Guggenheim che si trovano all’interno dei suoi confini.
Leggende del sestiere Dorsoduro di Venezia
Come gli altri sestieri, anche lui ha le sue storie da raccontare, storie fatte di mostri e di magia, di streghe e di misteri. Vi porto a scoprire le sue leggende da Punta della Dogana alle calli più strette.

Il mostro delle acque nere
Secondo la leggenda, sotto Punta della Dogana, l’estremità di Dorsoduro che si aggancia da una parte sul Canal Grande e dall’altra sul Canale della Giudecca, ci sarebbe un’ampia cavità nella quale vive un mostro.
La creatura, una sorta di gigantesco serpente marino, è nota come “mostro delle acque nere” dal colore dell’acqua della laguna nelle notti senza luna. Le stesse durante le quali il mostro sembra uscire allo scoperto.
Vero o no, pare che nel 1933 alcuni pescatori l’abbiano visto con i propri occhi. Da allora non se ne è più saputo niente, ma non si è mai smesso di parlarne.

Il Palazzo Maledetto
Nel sestiere Dorsoduro di Venezia si trova uno dei palazzi maledetti della città: Ca’ Dario. Costruito alla fine del Quattrocento non distante dalla Basilica della Salute, fu commissionato da Giovanni Dario, segretario del Senato della Repubblica, all’architetto Pietro Lombardo ed è riconoscibile grazie ai medaglioni di marmo che ne ornano la facciata.
La fama di “palazzo maledetto” arriva dal fatto che, pare, ogni proprietario sia morto in modo tragico (suicidi, omicidi, insoliti incidenti) o sia stato colpito da miseria e sventure.
Qualche esempio? La figlia di Giovanni, Marietta, sposò Vincenzo Barbaro, ma poco dopo il matrimonio l’uomo perse il suo posto all’interno del Maggior Consiglio e lei morì di crepacuore. Un loro discendente, quasi due secoli dopo, venne assassinato brutalmente in Grecia. Nel Novecento, il mercante armeno Arbit Abdoll, allora proprietario della casa, perse ogni suo bene e morì in povertà.
La lista non finisce qui. Il conte Filippo Giordano delle Lanze venne ucciso tra le sale dell’edificio dal suo amante. Kit Lambert, manager del gruppo The Who, qui vide aggravarsi la sua dipendenza dalla droga, venne arrestato e perse tutti i suoi beni. Tra gli ultimi Fabrizio Ferrari, un affarista che subì un tracollo finanziario, sua sorella, uccisa qualche anno dopo, e Raul Gardini, imprenditore del settore chimico che si tolse la vita dopo essere stato coinvolto in gravi vicende giudiziarie. Forse anche per i più scettici è difficile rimanere indifferenti di fronte a un elenco simile.
Secondo alcuni la maledizione che aleggia sul palazzo è dovuta al fatto che sia stato costruito su un antico cimitero templare, secondo altri è colpa del talismano posto sul palazzo di fianco.
Un’altra teoria è legata alla frase incisa sull’edificio: “genio urbis joannes dario”. Questa, infatti, è l’anagramma di “sub ruina insidiosa genero”, traducibile in italiano: “sotto (ndr questo tetto) genero insidiose rovine”.
In ogni caso, pare che i fantasmi di tutti gli ex proprietari si trovino ancora al suo interno e oggi non la vuole comprare o affittare più nessuno.

Il Ponte de le Maravegie
Il Ponte de le Maravegie (Il Ponte delle Meraviglie, in italiano), non distante dalle Gallerie dell’Accademia, ha un nome legato a due storie veneziane.
Secondo la prima il suo nome deriva dal fatto che il ponte sia stato costruito in una notte da mani misteriose o forse per miracolo. La seconda, invece, è legata a dei giovani veneziani.

Racconta la leggenda che in una delle case affacciate sul ponte abitassero sette sorelle: sei molto belle e una bruttina. Poche settimane prima di un’importante regata, un giovane barcaiolo cominciò a frequentare la casa, ma più vi trascorreva del tempo e più pareva ammalarsi. Il giovane diede colpa alla sorella più brutta, accusandola in cuor suo di essere una strega o di aver fatto una maledizione perché era l’unica che, quando lui si trovava in casa, scappava e si nascondeva nella sua camera.
Un giorno, mentre le altre sorelle non c’erano, il ragazzo andò a casa sua per affrontarla, ma una volta sul ponte, alzando la testa verso la finestra della stanza della giovane, la vide pregare inginocchiata di fronte al crocefisso. Il barcaiolo si fermò, sempre meno convinto di quello che stava per fare e, in quel momento, vide che sopra la casa erano comparse sette stelle luminosissime e una più piccola e fioca. Pian piano, le stelle scomparvero una a una e rimase solo quella più piccola.

A quel punto il giovane bussò alla porta e quando la ragazza aprì e lui le chiese che cosa stesse facendo, lei gli confessò il proprio amore e gli disse che, accortasi del suo repentino peggioramento di salute, stava pregando Dio di farla morire in cambio di una completa guarigione del suo amato.
Da allora i due passarono molto più tempo insieme e lui iniziò a stare sempre meglio, innamorandosi ogni giorno di più della ragazza. Dopo aver vinto la regata la chiese in sposa e da allora il ponte dal quale lui vede le meravigliose e miracolose stelle venne chiamato Ponte de le Maravegie.

La sveglia della strega
Non distante dal Ponte de le Maravegie e dall’Accademia c’è un altro luogo legato a una delle leggende del Sestiere Dorsoduro: Calle della Toletta. Qui, su una casa gialla che fa angolo con la calle che porta al ponte, guardando verso il tetto, potete vedere una vecchia sveglia.
Secondo i racconti popolari, la sveglia segna l’ora durante la quale la strega che abitava nella calle compiva le sue magie e i suoi sortilegi. Quando la donna morì, cominciarono a manifestarsi strani fenomeni e la casa rimase disabitata per molto tempo. La sveglia, però, non fu posta lì dalla strega.
Pare sia colpa di un barbiere che esercitava proprio in Calle della Toletta, che, un giorno, per fare un dispetto a una persona, chiese ad alcuni operai che stavano sistemando il tetto di appendere la sveglia all’edificio. Da quel giorno i fatti inspiegabili smisero di infastidire gli abitanti.
Quando molti anni dopo la sveglia fu rimossa (nessuno credeva più alla leggenda) i fenomeni si manifestarono nuovamente e quindi si decise di riposizionare un’altra sveglia. Passò il tempo e, per altri lavori di restauro, l’oggetto fu spostato nuovamente, facendo così ricominciare incidenti, rumori, strani incontri e sparizioni. Non serve dire che da quel giorno fu rimessa al suo posto e mai più tolta.

Le tre vere da pozzo della chiesa di San Trovaso
A Venezia ogni isoletta ha una sua chiesa e un suo pozzo nel quale un tempo si raccoglieva l’acqua. L’isola che ospita la chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, chiamata in dialetto veneziano San Trovaso, di pozzi ne ha ben tre: una stranezza in città.

Uno si trova di fronte all’ingresso principale della chiesa e risale al Cinquecento, gli altri sul lato lungo e risalgono al Quindicesimo e al Tredicesimo secolo. Proprio a quest’ultimo, al più antico, è collegata una storia macabra: il 14 giugno 1779 al suo interno fu ritrovato il busto di un uomo. Gli arti, che erano stati tagliati, furono rinvenuti poche ore dopo in altre zone della città.
Grazie alle indagini si scoprì che i responsabili erano la moglie dell’uomo e il suo amante, un giovane friulano (originario della zona di Udine), che lavorava in laguna. Entrambi furono giustiziati in Piazza San Marco. Un delitto passionale tra i più celebri delle cronache veneziane.

La fondamenta di Ca’ Balà
Camminando lungo il Canale della Giudecca, a Dorsoduro, si incontrano la fondamenta e il ponte di Ca’ Balà. Il nome non si deve a una casa o a una famiglia nobile, come accade spesso a Venezia, ma a una sorta di anagramma. Ca’ Balà, infatti, sta per “Baccalà”.
Il nome non è stato scelto a caso. Lì vicino, infatti, c’erano i vecchi magazzini del sale e in molti si conservava il baccalà, un ingrediente molto comune nella cucina veneziana, ma che non è tipico di queste zone. Il suo arrivo in laguna è legato a una leggenda.
Si raconta che nel 1431 l’esploratore veneziano Pietro Querini raggiunse il Mare del Nord a bordo della sua nave, la Gemma Quirina. Durante una tempesta, però, la barca naufragò e i superstiti si salvarono solo grazie alle scialuppe. Dopo giorni in mare, queste giunsero sulle coste di una piccola isola norvegese disabitata e quando accesero dei fuochi per riscaldarsi, i pescatori di un’isola vicina li raggiunsero e li aiutarono. Dopo essersi rifocillati, riuscirono a tornare a Venezia e portarono con loro un regalo molto prezioso: il merluzzo essiccato.

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Informazioni
Le immagini sono state scattate con un iPhone 6s* e una Canon 1100D*. Per vedere le altre potete sfogliare il mio album su Flickr.